Uscire dalle gabbie mentali: i doni dell’imperfezione

Mentre aiuto i miei pazienti ad ammorbidire il perfezionismo che dimora in loro, mi rendo conto che anche a me capita sovente di cadere nella trappola del dover far tutto bene, del non concedermi di sbagliare. Questo perché per quanto ci si lavori, aprirsi alla vulnerabilità e andare verso l’amore incondizionato è un cammino lungo, delicato e che può durare tutta una vita.

Ho usato la parola “trappola” perché il bisogno di essere perfetti ci imprigiona, erodendo piano piano energie vitali e alimentando malessere che può invece essere liberato per dare spazio alla creatività. Le risorse le abbiamo tutti, ma le soffochiamo nel tentativo di essere “chi crediamo di dover essere” al posto di abbracciare “chi siamo davvero”.

È importante comprendere che la faticosa corsa al perfezionismo deriva da una grande insicurezza di fondo. Ognuno di noi, da quando nasce, difficilmente riceve dal mondo esterno ciò di cui ha bisogno e così si convince di non valere abbastanza. Mette allora in atto le strategie più disparate per ricevere amore e riconoscimento, come per esempio essere sempre bravi, forti, prestanti in ogni circostanza.

C’era una ragazza che andava sempre bene a scuola, gli riusciva di apprendere un po’ tutto quando ci si metteva ma aveva un tallone d’Achille: la matematica. Questa proprio non le andava giù e ogni volta che non riusciva a risolvere problemi ed equazioni cadeva in un pianto disperato, poteva invocare qualsiasi santo ma niente da fare, non succedeva nessun miracolo. All’università (ovviamente scelse una facoltà umanistica) andava tutto alla grande finché non andò a sbattere il muso contro la statistica, che richiedeva buone basi di ragionamento matematico. Passò tanto tempo sui libri ma all’esame fu bocciata. Pianse così tante lacrime che alla fine non gliene rimasero più, così si armò di coraggio e di tutta l’umiltà possibile e si presentò al ricevimento della docente della materia in questione, confessando la sua difficoltà ad apprendere e di non sapere proprio che fare. Non solo l’insegnante apprezzò il gesto della studentessa volenterosa di capire e di affrontare le lacune, ma le offrì un supporto settimanale di ripetizioni a titolo gratuito, finché non sarebbe stata pronta a superare l’esame.

La ragazza divenuta poi donna ricordando gli anni dell’università si dimenticò di tutti gli esami conseguiti a pieni voti, ma di quello non si scordò mai. Non solo perché grazie all’aiuto ricevuto passò l’esame, ma perché sentì una gratitudine così profonda per quella donna che tese la mano alla sua vulnerabilità e che le offrì il suo tempo, che le aprì il cuore. Quell’esperienza si rivelò così bella che la portò con se’ per sempre.

La ragazza del racconto ero io. La storia un espediente per esprimere quello che ho capito nel tempo e cioè che

il perfezionismo non migliora la vita, anzi la rende triste e parecchio pesante, mentre ricevere un aiuto disinteressato quando ci si sente fragili, fare esperienza dei propri limiti e di qualcuno che raccoglie il nostro pianto disperato, questo sì che cambia la vita.

Perciò quando cado nell’agguato del perfezionismo cerco di accorgermene subito, di abbracciare la parte vulnerabile che teme di non essere riconosciuta e poi mi dico: “occorre solo uscire dalla gabbia e aprirsi: aprirsi ai doni dell’imperfezione”.

Rif. bibliografici:

Brené Brown, I doni dell’imperfezione. Abbandona chi credi di dover essere e abbraccia chi sei davvero. La tua guida a una vita incondizionata. Ed. Ultra

Giorgia Fantinuoli psicoterapeuta

www.giorgiafantinuoli.com

giorgia.fantinuoli@gmail.com

Contatti: 333.2001678

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