Mentre aiuto i miei pazienti ad ammorbidire il perfezionismo che dimora in loro, mi rendo conto che anche a me capita sovente di cadere nella trappola del dover far tutto bene, del non concedermi di sbagliare. Questo perché per quanto ci si lavori, aprirsi alla vulnerabilità e andare verso l’amore incondizionato è un cammino lungo, delicato e che può durare tutta una vita.
Ho usato la parola “trappola” perché il bisogno di essere perfetti ci imprigiona, erodendo piano piano energie vitali e alimentando malessere che può invece essere liberato per dare spazio alla creatività. Le risorse le abbiamo tutti, ma le soffochiamo nel tentativo di essere “chi crediamo di dover essere” al posto di abbracciare “chi siamo davvero”.
È importante comprendere che la faticosa corsa al perfezionismo deriva da una grande insicurezza di fondo. Ognuno di noi, da quando nasce, difficilmente riceve dal mondo esterno ciò di cui ha bisogno e così si convince di non valere abbastanza. Mette allora in atto le strategie più disparate per ricevere amore e riconoscimento, come per esempio essere sempre bravi, forti, prestanti in ogni circostanza.
La ragazza del racconto ero io. La storia un espediente per esprimere quello che ho capito nel tempo e cioè che
il perfezionismo non migliora la vita, anzi la rende triste e parecchio pesante, mentre ricevere un aiuto disinteressato quando ci si sente fragili, fare esperienza dei propri limiti e di qualcuno che raccoglie il nostro pianto disperato, questo sì che cambia la vita.
Perciò quando cado nell’agguato del perfezionismo cerco di accorgermene subito, di abbracciare la parte vulnerabile che teme di non essere riconosciuta e poi mi dico: “occorre solo uscire dalla gabbia e aprirsi: aprirsi ai doni dell’imperfezione”.
Rif. bibliografici:
Brené Brown, I doni dell’imperfezione. Abbandona chi credi di dover essere e abbraccia chi sei davvero. La tua guida a una vita incondizionata. Ed. Ultra
Giorgia Fantinuoli psicoterapeuta
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