Stando in questi anni a tu per tu con l’incertezza e le sue scottature ho realizzato questo: che conviene imparare a prenderlo un po’ per le corna, il toro, a farselo un po’ amico, il nemico, preferibilmente prima che ci strapazzi troppo. Quel che mi è parso di capire di tutta la faccenda sull’incertezza della vita è che possiamo dire di essere sufficientemente in gestione quando abbiamo imparato a tollerare, a sostenere – con un certo agio che non esclude sofferenza – una certa quota di imprevedibile, di caos. E che quando crediamo di avere le cose sotto controllo, del tipo «oh guarda come va tutto bene», in verità il sistema ci sta fregando: non è gestione credere di essere in gestione perché le cose stanno andando come vogliamo che vadano. Che è più un aggrapparsi ad appigli che poi crolleranno.
Così, se buona parte della vita investiamo energie per raggiungere certezze e sottrarci alle incertezze, a un certo punto potremmo realizzare che conviene allentare la presa sulle previsioni e sul tentativo di controllare tutto. Potremmo allora cominciare a programmare qualche escursione guidata nei “non so”, improvvisare qualche tratta fuori dai binari tra una fermata e l’altra, organizzare quella gita fuori porto-sicuro per sentire il brivido del mare aperto… E chi lo sa che proprio fuori dagli schemi o durante un viaggio controcorrente non avvenga l’incontro che ci sbalordisce e che pure non cominci a piacerci. Potremmo infatti scoprire che creatività e libertà non si annidano nel definito, nel già noto, ma in quel “mare di possibilità”, in quel “magma incandescente” che è disordine, ignoto, inconscio, vuoto, abisso, mistero, che è oltre il limite della nostra logica ristretta e da cui possiamo attingere come a un pozzo senza fondo. Piccole imprese titaniche, perché la libertà ci fa paura, troppo al largo sentiamo nostalgia del confine. Periodici appuntamenti avventurosi da chiedere alla vita, battendo sul tempo la vita stessa che ci dà le sue batoste, senza appuntamento. Piccoli preparativi intenzionali insomma, fatti di tanto in tanto e q.b., calibrati, tenendo conto delle proprie possibilità e attitudini, dato che siamo più o meno avventurieri, più o meno attratti da.
E oggi ripenso al gesto di rompere l’uovo di Pasqua, a quella trepidazione e timore, come a una buona metafora per descrivere questa rottura inevitabile affinché la meraviglia (il cuore della vita?) che sta dentro/dietro possa coglierci. Meraviglia, mistero che Einstein ha definito «la cosa più bella di cui possiamo fare esperienza… la fonte di ogni vera arte e scienza. Colui che non conosce questa emozione, che non sa più restare rapito dal senso di meraviglia, è come fosse morto: i suoi occhi sono chiusi». E concludo con la riflessione di Siegel che non so a voi ma a me arriva come un message in the bottle pasquale, come summa dolcemente amara o amaramente dolce di questa transizione:
«Forse è proprio qui che si annida l’ostacolo al raggiungimento dell’armonia nella vita moderna di noi essere umani. Il desiderio di certezza è come un velo che ci impedisce di vedere compiutamente, liberamente e chiaramente. La concezione che vede nell’integrazione una possibile direzione da seguire ci aiuta a comprendere come potremmo aver bisogno di attraversare la cortina di certezze per aprirci intenzionalmente all’incertezza, così da lasciare che la luce della realtà si diffonda nella nostra vita, illuminando il cammino per liberare l’integrazione».
Detto in modo ironico ed efficace: «Rilassati, Dio esiste, e non sei tu» (cit).
Con l’augurio di una Buona Pasqua.
BIBLIOGRAFIA
Siegel D.J., Tra me e noi. Come integrare identità e appartenenza, Raffaello Cortina Editore