“Il maestro di meditazione Joseph Goldstein racconta la storia del maestro delle elementari che chiese alla classe: ‹‹Che colore è questo, bambini?››, mostrando una mela. Molti bambini dissero rosso, qualcuno disse giallo, qualcuno disse verde, uno solo disse: ‹‹Bianco››. ‹‹Bianco?›› replicò il maestro, ‹‹perché dici bianco? Vedi bene che non è bianca, questa mela››. A quel punto il bambino va alla cattedra, stacca un morso della mela e poi la solleva per mostrarla al maestro e alla classe”
Spesso i nostri modi di vedere, o bianco o nero, ci fanno cogliere soltanto una parte della realtà, facendoci perdere la bellezza che si rivela sotto la superficie.
Mi piace riportare questa breve storia tratta da Riprendere i sensi di J.Kabat-Zinn, perché ci fa capire che funzioniamo per abitudine. Guardiamo tutto, gli altri, noi stessi, le cose che ci capitano a seconda di quello che abbiamo imparato dall’ambiente in cui siamo cresciuti. Ma il modo con cui guardiamo non è sempre la verità o più semplicemente è una parte parziale dell’intero spettro della realtà, solo la superficie, come nell’esempio della mela.
Questo per dire che spesso la nostra visione delle cose ci limita e non ci permette di evolvere, persino può farci bloccare con la conseguenza di una grande sofferenza. Quando stiamo male e andiamo in crisi infatti è perché i meccanismi abituali premono così forte da cominciare a stridere. Andiamo in cortocircuito, in tilt. Sotto questi pensieri abituali ci sono le emozioni abituali, che di solito sono paure. Possiamo così scoprire che sotto la preoccupazione “Non ho raggiunto quell’obiettivo, non valgo nulla” c’è per esempio la paura di deludere le aspettative dei familiari, del papà o della mamma e quindi la paura di non essere amabili.
Possiamo poi accorgerci che quel pensiero che ci frulla ripetutamente nella testa è legato alla nostra storia personale, che ci portiamo sulle spalle come un fardello pesante. Magari è quello che ci siamo sentiti dire da piccoli (“Se non farai il bravo/prendi dei bei voti non ti porterò con me al mare”) e che ci continuiamo a dire sotto mentite spoglie (“Se non mi faccio una posizione sul lavoro non sono degno d’amore”). Senza accorgerci che il pensiero parte in automatico e influenza la nostra vita. Se penso di non valere niente perché non faccio carriera infatti: (1) mi sentirò triste e depresso, (2) mi comporterò di conseguenza, comportandomi in modo insicuro con le persone, evitando di dire quello che penso o evitando certe situazioni.
Funzioniamo così: ci identifichiamo a tal punto con i nostri pensieri e con le nostre emozioni da non accorgerci che questi non sono Me, da non sapere che Io sono molto di più, che ho una vasta gamma di potenzialità da cui attingere. Da non rendermi conto che in fondo a me della carriera non importa nulla o che se anche non faccio carriera ma svolgo il mio lavoro con semplicità, sono amabile, posso volermi bene, a prescindere. In psicologia Trans-personale si dice che per compiere la nostra evoluzione come individui dobbiamo lasciare andare l’Ego (le identificazioni che ci limitano, legate alla nostra storia) per unirci al Sé (le nostre infinite potenzialità, la nostra parte creativa, autentica).
Fare questo è un “salto quantico”, perché vuol dire andare oltre (trans-) gli schemi ripetuti nel tempo e le abitudini (assai insidiose) per diventare uomini e donne unici, artefici del proprio presente e non vittime del passato e delle circostanze esterne. Non è semplice. Per questo occorrono determinazione per andare alla cattedra a mordere la mela e una certa dose di coraggio per mostrare che sotto l’involucro c’è qualcosa di più, un cuore pulsante, vivo, che aspetta di essere scoperto.
È questo un po’ il senso di un percorso interiore che mi piace trasmettere: che è liberazione dalle catene che pesano sui nostri sonni e sui nostri sogni, sul desiderio di poter essere ciò che siamo veramente.
BIBLIOGRAFIA
– Riprendere i sensi. Gestire se stessi e il mondo con la consapevolezza, Jon Kabat-Zinn, Ed. Tea