Quanto spesso durante l’arco delle giornate ci sentiamo stanchi, tesi, agitati o in balia dei ritmi frenetici e dello stress dovuto alle difficoltà della vita?
Questo periodo, è vero, ci ha destabilizzato ed esposto a facili tensioni, facendo vacillare le certezze su cui ci appoggiavamo. Allo stesso tempo però ci ha dato l’opportunità di accorgerci che, da un punto di vista psicologico e spirituale, per far fronte ai cambiamenti esterni è necessaria una certa dose di stabilità interna. Per riuscire cioè a stare sufficientemente in equilibrio quando fuori tutto è incerto e precario, occorre attingere dalle nostre risorse interiori profonde. Se queste sono deboli, a ogni sconquassamento esterno sprofondiamo.
A volte basta poco per riscoprire e attivare queste risorse, bisogna però partire dal presupposto di rivolgere lo sguardo verso l’interno, non aspettando sempre che le soluzioni arrivino da fuori, ma con la consapevolezza che abbiamo dentro di noi ciò che ci serve per stare meglio.
Uno strumento utile che va in questa direzione è la pratica di consapevolezza del respiro. Si tratta di un esercizio che deriva da antiche tradizioni e che ha diversi vantaggi e utilità:
1. Può farlo chiunque, non richiede abilità o competenze, è sempre alla portata di mano e si può utilizzare ovunque
Seppur se ne trae maggior beneficio praticato costantemente (per esempio io cerco di farlo una volta al giorno, al mattino prima di iniziare la giornata) tuttavia può essere utilizzato ogni volta che ne sentiamo la necessità, quando per esempio ci accorgiamo che delle emozioni, per esempio paura o panico, stanno prendendo il sopravvento dentro di noi. Un po’ come un “farmaco” pronto all’utilizzo, ma senza controindicazioni.
2. Ci permette di percepire un centro stabile dentro di noi, a cui possiamo ancorarci
Questo avviene perché ci riconnette con qualcosa, il respiro, che, anche se non ci facciamo caso o ce ne dimentichiamo, c’è dentro di noi sempre (è sorprendente rendersi conto che non siamo noi a compiere l’atto di respirare, ma che avviene al di fuori dalla nostra volontà). In questo modo l’irrequietezza e tutti quegli stati di tensione più o meno profondi si alleviano. Non che questi vengano eliminati, ma è come se passassero sullo sfondo, potendo essere come inclusi e integrati a partire da questo punto di ancoraggio e osservazione.
3. Ci allena a stare nel momento presente
Concentrare l’attenzione su un oggetto preciso (il respiro) ci fa sperimentare cosa sia lo stare nella realtà pura di quello che c’è. Se ci facciamo caso infatti, nella quasi totalità del tempo siamo costantemente immersi nei pensieri, persi nei nostri film mentali (fantasie, ricordi, preoccupazioni per il futuro, giudizi), che lasciamo ci condizionino la vita senza nemmeno accorgercene. Disponendoci a focalizzare la nostra attenzione unicamente sull’atto del respirare e lasciando andare i pensieri che naturalmente emergono, ci diamo invece l’opportunità di stare nel puro sentire. Ciò ha un effetto benefico sia immediato sia sul lungo termine se si ha la volontà e la costanza di praticare frequentemente.
Essere semplicemente presenti a quello che c’è in ogni momento, ci riposa energeticamente e ci connette con le nostre sorgenti più profonde. Avete presente l’effetto di quando creiamo una cosa che ci piace con le nostre mani? Siamo così immersi e assorbiti nel fare che è come se i pensieri scomparissero. Con questa pratica succede un po’ lo stesso. È come ritornare al puro esistere del bambino.
4. Ci risveglia alle piccole cose, facendoci riscoprire la meraviglia delle cose semplici
Spesso l’essenziale della vita ce l’abbiamo sotto gli occhi, ma non ce ne accorgiamo. Quante volte ci ricordiamo che respiriamo? Solitamente mai. Le pratiche di consapevolezza ci risvegliano alla bellezza e alla delicatezza del nostro esistere. Ci accorgeremo per esempio che il gesto di prendere (inspiro) e di dare (espiro) sono il fondamento della vita stessa, un principio vitale, che ci riguarda come individui immersi nella relazione. La consapevolezza del respiro, fatta nell’ottica giusta e con costanza non è solo un mezzo per ottenere un fine, stare meglio e sollevarci, ma è anche una pratica di cui godere e che riserva sempre sorprese. Va infatti contro-corrente, rispetto ciò che ci viene insegnato e che abbiamo appreso e ci permette di recuperare un contatto vitale con noi stessi più fondativo.
Come si fa?
Per iniziare occorrono 4 accorgimenti semplici ma indispensabili:
- Ritagliamoci 10 minuti, anche di più se possibile e se riusciamo, in cui stabiliamo (qui volontà e determinazione sono fondamentali) la priorità di dedicarci a noi stessi
- Sistemiamoci in un luogo della casa o dell’ufficio tranquillo dove siamo sicuri di non essere disturbati, allontanando per la durata dell’esercizio fonti di distrazione e disturbo, compreso il cellulare
- Scegliamo una posizione comoda ma dignitosa, che ci permetta di sentirci a nostro agio e non ci crei fastidi fisici. Può andare bene seduti sulla sedia con la schiena eretta e le gambe ben appoggiate a terra o seduti a gambe incrociate su un cuscino o ancora se si preferisce distesi a terra (da evitare se rischiamo di addormentarci)
- Chiudiamo gli occhi o teniamoli socchiusi per tutta la durata dell’esercizio
La pratica è molto semplice e consiste nell’ascolto del respiro, cioè nel focalizzare consapevolmente l’attenzione sull’aria che entra e che esce. Ci si può concentrare su un punto in cui abbiamo una percezione più nitida come ad esempio le narici, ma può essere anche il petto o la pancia. Durante tutto il tempo della pratica non dobbiamo fare altro se non porre delicatamente l’attenzione sul nostro respiro, senza forzarlo ma lasciandolo essere naturalmente, nel punto che abbiamo scelto, e stare con ciò che c’è. Per esempio potremo percepire la temperatura dell’aria quando entra e dell’aria quando esce (stupisce accorgersi che è diversa!) oppure accorgerci dei movimenti della pancia che si solleva e si abbassa.
Possiamo farci aiutare da un’immagine:
Una foglia che si posa fluttuando sulla superficie della riva del mare e lì rimane, a galleggiare sulle sue onde
Così possiamo percepire il respiro che galleggia entrando e uscendo dal corpo e stare lì con esso in tutte le fasi del movimento, seguendolo per tutta la durata di ogni inspiro, per tutta la durata di ogni espiro e per tutto il tempo della pausa tra uno e l’altro, percependo le oscillazioni. Ci potremo accorgere per esempio che la pausa tra l’inspiro e l’espiro e la pausa tra l’espiro e l’inspiro non hanno la stessa durata ma una è più lunga dell’altra. Fa effetto scoprire di non averlo mai notato!
Non si tratta di ‘pensare’ al respiro quanto piuttosto di ‘percepirlo’, di galleggiare sulle onde del respiro come la foglia. In questo modo ci si abbandona completamente alle sensazioni del respiro, attimo dopo attimo
Naturalmente capiterà di distrarci con pensieri, ricordi, immagini o previsioni per il futuro. Si tratta in quel momento di lasciare andare delicatamente le distrazioni e di tornare al respiro, per riprenderlo là dove lo abbiamo lasciato e così per tutta la durata della pratica. Non importa quante volte ci distrarremo, ciò che è importante è questa capacità di osservare che ci siamo distratti e di ritornare ogni volta al punto di consapevolezza.
Un ultimo accorgimento: alla fine della pratica non utilizziamo il giudizio per valutare come è andata, ma semplicemente ringraziamoci perché ci siamo dedicati del tempo prezioso per prenderci cura di noi.
Qualche aneddoto sulla pratica
La pratica sul respiro risale ad antichissime tradizioni spirituali ed è praticata in discipline come lo Yoga e la Meditazione, o nella sua forma occidentalizzata, nella Mindfulness. Essa ha a che fare con la dimensione spirituale, come ci ricorda l’etimologia della parola respiro. Spirituale deriva da spirito, in latino dal verbo spiro, da cui derivano in-spiro, ex-spiro e re-spiro, che vuol dire “soffio”, “prâna” nel linguaggio dello yoga. Queste tradizioni ci insegnano che il respiro ha importanza non soltanto in quanto funzione respiratoria che ci garantisce l’esistenza fisica, ma in quanto collegato alla coscienza e alle facoltà del Sé (da cui il Sé come “coscienza ispirata”), quindi alle nostre facoltà superiori. E in quanto ci collega come individui all’universo, in quel continuo interscambio che avviene tra noi e il mondo esterno nell’atto del respirare. La consapevolezza del respiro ci risveglia al fatto che siamo dunque molto altro aldilà delle nostre facoltà razionali.
Buona pratica
@giorgiafantinuoli
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Jon Kabat-Zinn (2006), Riprendere i sensi. Guarire se stessi e il mondo con la consapevolezza, Edizioni Tea
Y. Tardan-Masquelier (2005), Lo spirito dello yoga, Edizioni De Vecchi