Aprile, il bianco e il tempo del rinnovamento

«C’era una volta una bambina di nome Nye(*) il cui ruolo – che ogni anno capitava a un bambino o a una bambina diversi – consisteva nel salire sulla rupe più alta del suo paese e, grazie ai canti del suo popolo, creare un arcobaleno per prevedere l’andamento del raccolto di quella stagione:
se l’arcobaleno avesse avuto come colore predominante il violetto, l’annata sarebbe stata buona per l’uva e per il vino;
se, a predominare, fosse stato l’arancione, sarebbe stata clemente per il granoturco;
se avesse primeggiato il giallo, sarebbe andata bene per il grano;
e ancora, il verde avrebbe indicato un buon anno per gli ortaggi, il rosso per l’olio e l’azzurro per le castagne.
Quella mattina quindi Nye cominciò la sua scalata, e quando arrivò sulla cima, iniziò a cantare accompagnata dalle voci di coloro che, negli anni precedenti, erano stati i prescelti.
Il sole si vedeva a malapena a causa di tutte le goccioline d’acqua che riempivano l’aria, rendendola tersa.
Ma Nye non si perse d’animo perché sapeva che erano proprio quelle goccioline a rendere possibile la nascita dell’arcobaleno.
E allora eccolo nascere proprio laggiù dove c’era la sua casa e allungarsi sempre di più, sempre di più, ma…i colori? Dov’erano i colori?
L’arcobaleno era a quel punto un arco in cielo, enorme, maestoso…ma bianco!
Com’era possibile?
Nye si voltò verso gli altri: donne…bambini…capi famiglia….tutti la guardavano incerti e preoccupati per quello che sembrava ormai un presagio di sventura.
Allora il mondo tacque.
La bambina abbassò gli occhi al terreno guardando i suoi sandali.
Non seppe precisamente quanto tempo passò ma a un certo punto, nel suo campo visivo, si aggiunsero anche i piedi di qualcun altro.
Nye alzò la testa e incontrò gli occhi dell’anziano del villaggio.
Senza proferire parola egli la prese per mano e la portò prima in un campo di granoturco dove cominciò a cantare; allora la bambina sentì il bisogno di accompagnare la sua voce e mentre camminavano, le spighe di granoturco cominciarono a crescere veloci fino a maturare.
Passarono dunque nel campo di grano poco più distante e anche quelle raggiunsero in pochissimi secondi il loro splendore.
Lo stesso fecero per gli ortaggi, il vitigno, l’uliveto e il castagneto.
Nye guardò di nuovo l’anziano negli occhi – si sorrisero – e quando distolsero lo sguardo l’uno dall’altra, la bambina si accorse di essere ancora lì, sulla rupe, e tutti la stavano ancora fissando.
Non c’era il raccolto, né le castagne nei ricci; non c’erano le olive sui rami e neanche l’uva a pendere dai filari. Tutto era tornato come prima.
Nye allora sorrise al suo popolo, grata di quell’insolita visione benaugurale, e ricominciò a cantare:
l’arcobaleno bianco – al contrario di quanto avevano inizialmente temuto – riuniva, in quell’unico colore, l’abbondanza e la fortuna di tutti gli altri».

(*)Nye: diminutivo di “Nyeupe”, che in Swahili significa “Bianco”

Il giorno dell’arcobaleno bianco, di Clelia Conti

Esistono profondi significati simbolici che uniscono sacro e profano, spirito e materia. Mi piace scoprirli e cogliere la connessione tra le cose – siamo tutti interconnessi gli uni con gli altri e con il cosmo intero – Così oggi questa bella fiaba dedicata al mese appena cominciato, mi ha fatto soffermare sul legame che esiste tra aprile, rinascita e colore bianco.

Aprile – come dice il significato latino aperire cioè aprire – è il mese dell’apertura, dello sbocciare di fiori e piante. La natura si schiude e anche noi con lei seguendo gli stessi ritmi: dopo il letargo invernale sentiamo il desiderio di muoverci, di incontrarci, di rinnovarci. In questo periodo ancora più intensamente, dato che in letargo ci ha mandato non solo l’inverno, ma anche la pandemia. Ad aprile sentiamo come una sensazione strana nell’aria, quasi di innamoramento, che ci apre i cuori come boccioli verso nuovi amori, progetti, orizzonti. E non a caso Pasqua, che è tempo di Resurrezione, cade in questo periodo, perché i riti, anche quelli religiosi, accompagnano i cicli della natura e hanno significati profondi.

Aprile ha quindi a che fare con rinnovamento/rinascita/resurrezione. Ma il bianco, cosa c’entra con questo mese e con la rinascita? E come mai compare proprio in una fiaba di aprile?
A me viene in mente che il bianco è il colore della purezza, che è dei bambini. Si indossa nelle cerimonie, al matrimonio o in alcuni spazi sacri, come quelli di meditazione, perché è il colore che ci connette con la nostra parte più profonda, che possiamo chiamare anima. Indossare un capo bianco ci predispone al contatto con noi stessi, a guardarci dentro. Il bianco per me è un po’ il corrispettivo ‘visivo’, mi piace dire, del silenzio, che è lo spazio/luogo/dimensione di quel vuoto che non è assenza ma che tutto contiene, come ci insegnano le tradizioni orientali.

Quando facciamo silenzio, cioè purifichiamo la mente da rumori, pensieri e preoccupazioni, quando sgombriamo il campo dal vecchio, dalle abitudini che non ci dicono più niente, quando tagliamo i fili del passato che ci condiziona, in qualche modo ci ritroviamo, pronti a rinascere come esseri creativi (o puri come bambini) o ri-creati a nostra immagine e somiglianza e non come gli altri ci vogliono.

Il bianco però non piace a tutti e anzi pure un po’ spaventa: gli abitanti del villaggio guardano Nye incerti e preoccupati nel vedere l’arcobaleno bianco, temendo un presagio di sventura. Fare ordine nella propria vita – cercare di vedere chiaro vuole dire infatti lasciare andare le cose che non ci servono più, lasciare morire quello che deve morire (la resurrezione segue la morte). E questo ci fa paura. Abbiamo timore di ritrovarci soli e senza appigli (a volte anche le abitudini e le preoccupazioni sono i nostri appigli che ci teniamo stretti!) perciò il bianco dell’arcobaleno, che a noi sembra non contenga niente, ci lascia incerti e preoccupati. Ma luce bianca non è assenza di colori e se apriamo bene gli occhi:

«L’arcobaleno bianco – al contrario di quanto avevano inizialmente temuto – riuniva, in quell’unico colore, l’abbondanza e la fortuna di tutti gli altri»

È questa la visione beneaugurale, il messaggio che io ritrovo nella fiaba. Nel fare questo vuoto dentro di noi troviamo il pieno, l’abbondanza, che è la nostra essenza e la nostra fortuna.

Ecco che il bianco è allora per me anche il colore della libertà. Quella libertà che ci può anche togliere il respiro a volte, che ci può far tremare, come sa bene lo scrittore di fronte alla pagina bianca, che genera inquietudine ma allo stesso tempo la sensazione che proprio lì stanno infinite possibilità. Lì, dove tutto può succedere, dove la storia può ricominciare da capo.
Fa paura lasciare andare, tagliare, far morire ed è per questo che per abitarla la pagina bianca, per fluire dentro il continuo rinnovarsi che è la vita occorre il nostro anziano del villaggio, che è la nostra saggezza e la nostra forza, che ci aiuti a superare l’incertezza del passaggio e a capire che moriamo per rinascere. D’altra parte anche il bruco quando pensa di morire poi comincia a volare.

Giorgia Fantinuoli Psicoterapeuta

giorgia.fantinuoli@gmail.com

333.2001678

RIFERIMENTI E CITAZIONI

La fiaba “Il giorno dell’arcobaleno bianco” è di Clelia Conti

©opera tutelata dal diritto d’autore

https://traparoleeimmagini.wixsite.com/traparoleeimmagini

Potete anche ascoltare la fiaba dalla voce dell’autrice, a questo link:

https://www.podcasts.com/12-favole-per-12-mesi-2022/episode/fiaba-di-aprile

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