C’è un concetto o meglio un’immagine che mi è entrata dentro e che ha cambiato non solo il mio modo di prendermi cura di me ma anche il modo di lavorare con i pazienti. È quella di bambino interiore. Un’immagine evocativa che ci dice che dentro ognuno di noi, anche da adulti, c’è un bambino che soffre. Quando veniamo feriti è lui/lei che piange e si lamenta, quando c’è una situazione che ci preoccupa è lui/lei che sente paura, quando c’è una situazione nuova da affrontare è lui/lei che si sente inadeguato, ecc. Sono le emozioni dentro di noi che si attivano, collegate alla nostra storia, al bambino vulnerabile che siamo stati e alle ferite dell’infanzia.
Tutti siamo abbastanza consapevoli che stiamo male per qualcosa che ci succede nel presente, ma non sempre sappiamo che reagiamo male a una parola che ci viene detta o a un gesto sgarbato proprio perché questo va a toccare il nostro bambino interiore, cioè le nostre ferite antiche. Di solito questo bambino non lo vogliamo sentire, perché non vogliamo sentire dentro di noi le ferite che bruciano ancora. Cresciamo con la convinzione di dover evitare il dolore e che il giusto sia nuotare solo tra le onde di emozioni gradevoli. Così le turbolenze ci danno noia, le sentiamo di intralcio e le mettiamo da parte e per questo trascuriamo il nostro bambino interiore. Eppure è una parte viva e vera di noi che ha bisogno di essere ascoltata e integrata e che ci può insegnare tanto. Evitare il dolore infatti non va d’accordo con la vita, che è fatta di perdite, di insuccessi, di cadute, non solo di eventi piacevoli.
Immaginarci il bambino ferito dentro di noi quando stiamo male ci aiuta proprio a capire qual è il modo armonico di approcciare la vita e in particolare le emozioni difficili. Cosa fareste di fronte a un bambino piccolo spaventato, che si sente inadeguato o arrabbiato? Credo che lo ascoltereste, gli chiedereste cosa c’è che non va, lo abbraccereste e non lo lascereste solo. Ecco la via, la modalità armonica dell’ascolto, dell’attenzione e dell’amore.
Dice una bella canzone di Cristicchi:
«Abbracciami se avrai paura di cadere
che nonostante tutto noi siamo ancora insieme.
Abbi cura di me che tutto è così fragile.
Adesso apri lentamente gli occhi e stammi vicino
perché mi trema la voce come se fossi un bambino, ma fino all’ultimo giorno in cui potrò respirare tu stringimi forte e non lasciarmi andare»(Simone Cristicchi, Abbi cura di me)
Ecco di cosa ha sempre bisogno un bambino ed ecco di cosa ha bisogno anche il nostro bambino interiore: di essere visto, abbracciato, di sapere che noi siamo lì con lui e che non lo lasceremo solo. È così che ognuno di noi può prendersi cura di sé, ogni giorno, quando sentiamo un’emozione dolorosa, chiedendoci proprio: cosa c’è che non va? Di che cosa ho bisogno adesso?
Qualcuno ha detto che i terapeuti che lavorano con gli adulti in realtà lavorano con i bambini. E in un certo senso è così. Il terapeuta si occupa delle parti vulnerabili, fragili del paziente, se ne prende cura e così facendo il paziente impara a fare lo stesso. L’ascolto, la consapevolezza, fermarsi e sostare al cospetto del dolore, sono una potente medicina, che la nostra società contemporanea ha dimenticato per strada e di cui ha estremamente bisogno.
«Ritorna a te stesso e prenditi cura di te. Il tuo corpo ha bisogno di te, le tue sensazioni hanno bisogno di te, le tue percezioni hanno bisogno di te. Il bambino ferito o la tua bambina ferita hanno bisogno di te. La tua sofferenza ha bisogno di essere riconosciuta. Torna a casa e sii consapevole di tutto ciò. Pratica il respiro e la camminata consapevoli. Fai ogni cosa in presenza mentale, allora puoi veramente esserci, allora puoi amare»
(Thich Nhat Hanh)
BIBLIOGRAFIA
Thich Nhat Hanh, Fare pace con se stessi. Guarire il bambino interiore trasformando le ferite e il dolore dell’infanzia in forza e consapevolezza, 2011, Editrice Aam Terra Nuova
Giorgia Fantinuoli Psicologa Psicoterapeuta giorgia.fantinuoli@gmail.com www.giorgiafantinuoli.com