Il viaggio dell’eroe, tra crisi e creatività

Camminava ormai da quattro giorni lasciandosi alle spalle la Terra dell’Ego che bruciava dentro le fiamme sete di potere, brama e invidia. Tutto quello che aveva costruito in una vita lo aveva visto andare in fumo in un attimo. Non aveva più nulla, solo se stesso. L’ uomo aveva con sé poco cibo e poca acqua, le forze cominciavano a esaurire e la tentazione di accasciarsi lungo la strada era una voce che si faceva sempre più attraente. Stava quasi per cedere quando un grido proveniente da lontano gli arrivò nelle orecchie come il lamento di una sirena: «Ehi, sono qui!». Queste tre parole bastarono per farlo tornare in sé. Si precipitò nella direzione da cui erano provenute e sotto l’incavo di una pietra scorse un bambino rannicchiato, sporco e terrorizzato almeno quanto lui. A occhio e croce poteva avere sette anni e a giudicare dall’aspetto anche lui doveva aver camminato a lungo, anche lui per sfuggire alle fiamme dalla devastazione in atto.

«Se stai andando nella Terra della Pace, ti prego, portami con te. Ero diretto lì ma mi sono perso e non so più da che parte andare». L’uomo mosso da compassione gli promise che sì, l’avrebbe fatto e che sarebbe stato al suo fianco finché non avessero raggiunto l’angolo di mondo che entrambi stavano cercando. Non fece parola dello sconforto in cui era caduto un attimo prima ma gli disse: «Vedrai, ce la faremo». E pronunciando queste parole arrivò una folata di forza mista a coraggio ad avvolgerli che profumava di speranza. Respirarono profondamente per mettersela addosso, come un vestito su cui avrebbero potuto contare per affrontare il tempo terribile che li attendeva.

L’uomo si sentì rinvigorito. La vista di quel bambino doveva avergli toccato dentro un ingranaggio che lo rimise in moto. Sapeva perfettamente qual era la sua missione e ora voleva portarla a termine proprio per quel piccolo essere: arrivare nella Terra della Pace prima che fosse troppo tardi, prima che la distruzione diventasse totale e si impadronisse di loro. L’uomo e il bambino si presero per mano e ripresero il cammino. Avevano ancora da attraversare la Terra dell’Aridità e la Terra della Paura e gli ostacoli li avrebbero messi a dura prova.

Arrivarono nella Terra dell’Aridità. Qui non c’era anima viva, né fonti d’acqua, né alberi né ombra sotto cui poter riprendere fiato. Era un luogo così desolato, povero e inospitale che persino l’aria scarseggiava e non si muoveva foglia. Ad attraversarla si aveva la sensazione di essere pesci fuor d’acqua, non graditi, respinti. Tutto faceva pensare che quella Terra non volesse essere toccata neanche con un dito e che dicesse: «Via di qua, sciò, via!». L’uomo e il bambino dovettero utilizzare tutta l’acqua che avevano a disposizione per non morire prosciugati e disidratati. Il loro cuore si inaridiva ad ogni passo, facendosi sempre più chiuso. L’uomo dovette fare uno sforzo di volontà immane per pompare il cuore e non lasciarlo morire, così immaginò tutte le cose belle che il bambino avrebbe potuto fare nel futuro se solo avessero raggiunto destinazione. Pensò agli abbracci, agli amici, a una fidanzata, al contributo che avrebbe potuto dare al mondo. E così facendo il cuore si rianimò e i due riuscirono a uscire da quel deserto e a tirare un sospiro di sollievo.

Poi fu la volta della Terra della Paura. Qui era tutto una foresta di alberi giganti, ombre tetre e oscurità. Per attraversarla dovevi fare attenzione a dove mettere i piedi perché i rami e le radici erano così fitti e protesi da intrappolarti e portarti nelle profondità della terra, da dove non saresti più riemerso. L’uomo e il bambino dovettero usare tutte le scorte di cibo per mantenersi in forze e non cadere in preda alla paura. Il loro cuore batteva all’impazzata e si fece rosso fuoco. L’uomo pensò a quanto doveva essere terribile per il bambino attraversare quell’oscurita’ e così trovò in sé la fiducia e la forza per sollevarlo e caricarlo sulle spalle, perché da così in alto potesse intravedere la luce e non guardare le radici fameliche che si muovevano dal basso, perché da quell’altezza potesse sentirsi un cavaliere valoroso. Così facendo riuscirono a uscire dal groviglio di radici infestanti e a tirare un altro sospiro di sollievo.

E mentre la Terra dell’Ego bruciava alle loro spalle, la Terra dell’Aridità soffocava per mancanza d’aria e la Terra della Paura si contorceva su se stessa, i due eroi giunsero finalmente nella Terra della Pace.
Questa non aveva molti abitanti, ma quei pochi sembravano persone felici. C’erano donne e uomini che avevano percorso tante miglia, da ogni parte del mondo, che avevano lasciato tutto e lì avevano trovato dimora. C’era anche chi come lui aveva intrapreso il viaggio non per propria iniziativa ma vi era stato costretto a causa della devastazione. Chissà, forse se non messo alle strette non si sarebbe mosso e sarebbe rimasto adagiato, su una vita fatta di comodità e sicurezze.

«Sei il benvenuto», gli dissero appena varcata la soglia del nuovo mondo. L’uomo fece per girarsi verso il bambino, per fare il suo nome, ma dietro di lui non c’era nessuno. Non gli ci volle molto a capire – perché forse in cuore suo l’aveva sempre saputo – che il bambino non esisteva, o meglio era esistito, tanto tempo fa, perché era lui stesso bambino. Il piccolo uomo incontrato sulla strada non era nient’altro che il fanciullino interno, la parte di sé spaventata ad affrontare il cammino, che aveva lanciato un grido perché qualcuno lo prendesse per mano e lo accompagnasse ad affrontare la vita.

(La Terra della Pace, Giorgia Fantinuoli, 2022)

Questo racconto ci parla del viaggio dell’eroe, cioè del viaggio di colui che toccato dall’esperienza della crisi, del caos, parte alla ricerca della salvezza, che è una chiamata all’appello, del “chi sono io?”, per cui sono necessarie una morte e una nuova nascita, un modo cioè nuovo in cui ricreare se stessi. Da un punto di vista terapeutico potremmo dire che l’eroe è colui che intraprende la strada verso la guarigione, cioè un lavoro interiore, di conoscenza di sè, a partire da una sofferenza.

Le parole crisi e creatività hanno la stessa radice etimologica. Andare in crisi è il più delle volte considerato qualcosa di negativo, ma a ben guardare è vero che senza una crisi (una crisi esistenziale, la crisi di mezza età, una crisi emotiva, ecc.) non ci metteremmo in moto, non ci sottrarremmo alla staticità, alla fissità, alla ripetizione del sempre uguale, che è morte in vita. Ecco perché occorre un crollo, la devastazione di qualcosa come in questo racconto, una caduta, il contatto con una sofferenza non più evitabile, perchè l’eroe possa iniziare il suo viaggio. Cosa comporta il viaggio?

Il viaggio dell’eroe prevede l’uscita dal castello, dalle comodità (area di confort) e dalla stasi che ci tiene in superficie, la presa di consapevolezza delle quattro mura dentro le quali ci ritroviamo a vivere senza sapere bene perché e se in fondo ci appartengono. È il viaggio interiore alla scoperta di chi siamo, riconducibile alla verità, nel bene e nel male, di noi stessi. Nel bene e nel male perché arrivare a destinazione, la Terra della Pace, comporta conoscere e attraversare il polo negativo, le zone d’ombra che tanto ci fanno paura e che non vogliamo toccare. E per farlo abbiamo bisogno di forza, coraggio e di una guida salda e determinata, esterna oppure interna (una motivazione profonda), che ci sorregga nei momenti difficili.

Nel racconto la crisi è la devastazione in atto nella Terra dell’Ego, metafora dell’Io che si piega o si spezza di fronte a una sofferenza mentre l’araldo, che nella terminologia del Mito è la scintilla che invita e motiva il protagonista a compiere l’ardua impresa, è rappresentato dall’incontro dell’eroe con la parte fragile di sé, il bambino. Momento di rivelazione, di risveglio. Incontrando questa parte infatti, egli scopre la parte adulta in sè che lo prende per mano per mezzo dell’amorevolezza e della compassione, la parte saggia.

Il viaggio dell’eroe per progredire ha infatti bisogno dell’amore, di uno spiraglio, che è speranza verso un compimento futuro. Tutti compiamo le imprese ardue solo in nome dell’amore, che come dice Dante alla fine del suo di viaggio – la Divina Commedia – è proprio ciò che «move il sole e l’altre stelle». Senza sofferenza e senza la motivazione dell’amore, cioè senza una visione che è prefigurazione del futuro, stella da seguire, non ci metteremmo in cammino.

E il viaggio stesso in questi termini, a ogni passo a cominciare dal primo, contiene già il seme della creatività, del nuovo che comincia a germogliare. Creatività che è ritrovare se stessi, un proprio spazio nel mondo, al di là delle paure, delle identificazioni con emozioni, pensieri, condizionamenti che ci incatenano, ci tengono in stallo ma non ci servono più. Nel racconto è l’attraversamento delle paure e dell’aridità di cuore, come chiusura e ripiegamento in se stessi. Ed è a questo punto che l’eroe, affrontato il suo drago, raggiunge la principessa, che non è altro che Casa, la Verità imprigionata in sè.

Giorgia Fantinuoli

Psicologa Psicoterapeuta

giorgia.fantinuoli@gmail.com

BIBLIOGRAFIA E CITAZIONI

  • Giorgia Fantinuoli, La Terra della Pace , racconto 2022, tutti i diritti riservati
  • Joseph Campbell, L’eroe dai mille volti, Ed. Lindau
  • Cit. Dante Alighieri, Paradiso XXXIII, v.145, Divina Commedia

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