Di Giorgia Fantinuoli
*Racconto vincitore del Premio speciale del presidente di giuria, sezione racconto a tema viaggio, VI Concorso di Letteratura “Storie in viaggio” organizzato dall’Associazione Culturale Euterpe – Jesi
Pier era un ragazzo come tanti. Anzi, un uomo, come lo correggevano canzonandolo gli amici perché, anche se lui usava definirsi ragazzo, aveva quarantatré anni suonati e le sembianze ne tradivano l’età. Con la modestia che lo distingueva, si definiva anche uno qualunque, cioè un tipo dall’esistenza ordinaria, anche se non sapeva che di lì a poco la sua vita qualunque sarebbe stata stravolta.
La giornata infatti iniziò come al solito, con la sveglia presto, una tazza di caffè concentrato, due frollini al latte, un’occhiata veloce a facebook. Poi dopo la doccia, una sistemata e un rapido sguardo allo specchio era pronto per andare in ufficio. Pier viveva solo: non c’era nessuno da abbracciare prima di uscire di casa e ad attenderlo a fine giornata. Non aveva trovato la persona per cui valesse la pena impegnarsi, diceva. Di questo se ne era rammaricato per un certo periodo, ma ora non ne faceva più un dramma. Si era abituato alla solitudine e alla routine. Gli stessi impegni, gli stessi orari, le stesse facce tutti i giorni sempre uguali. Questa ripetitività, che lui preferiva chiamare consuetudine quando gli amici lo punzecchiavano per persuaderlo a farlo uscire la sera, funzionava come una corazza che lo proteggeva dagli scossoni della vita. Era diventata un po’ la sua compagna fedele e fidata. Quel giorno però le cose non procedettero secondo i programmi, ma si mossero decise a bucare quella bolla di sicurezza creata nel tempo. Si potrebbe dire che andarono storte, se con questo immaginiamo l’opposto di filare lisce, cioè sempre alla stessa maniera. Qualcosa di fatto andò a sbattergli in faccia e aveva la consistenza e il sapore dell’inatteso.
Lungo il tragitto casa-ufficio, mentre era seduto come al solito sulla prima carrozza della metropolitana, gli sembrò di vedere… qualcosa… appena dietro i vetri scuri della carrozza dopo la sua… un volto… il suo volto. Fece un sobbalzo, lì per lì credette che il vagone in corsa avesse preso sotto qualcosa, perché il cuore gli andò in gola, ma poi vide che tutti gli altri passeggeri erano tranquilli, così dovette pensare di essere stato lui a fare un salto sul sedile. Rimase impietrito, di sasso. Non riuscì a fare nulla, solo i pensieri si mossero all’impazzata travolgendolo in un vortice di parole, suoni e gesti fino allora segregati nella memoria e riapparsi all’improvviso. Solo la voce dell’altoparlante che annunciava l’arrivo alla sua fermata lo destò dal torpore e lo fece precipitare fuori dal vagone.
Non riuscì a lavorare quel giorno. Sedeva sulla scrivania con quell’immagine fissa in testa. Non aveva dubbi, era lei: Chiara. Da quanto non aveva avuto il suo viso davanti agli occhi? Da quanto non aveva ricordato quel nome? ‹‹Chiara››, sussurrò sottovoce per essere sicuro di aver sentito bene ciò che la sua mente aveva già pronunciato più volte. Sì perché, in verità, una donna c’era stata. Era stato parecchio tempo fa, vent’anni prima quando, allora sì, era un ragazzo. Era stata la prima e unica della sua vita. Lei poi era partita per studiare all’estero e lì era rimasta per diverso tempo finché non si erano persi di vista. E ora dopo così tanto tempo gli era sembrato di vederla, anzi, era sicuro fosse lei. Rientrato a casa si precipitò in cantina a riesumare dallo scatolone con su scritto cose vecchie l’agenda 2001 conservata insieme a tante altre cianfrusaglie. Trovò nella rubrica il suo numero di casa. Per fortuna ce l’aveva ancora. Chissà se era ancora quello e se viveva ancora lì. Al telefono quella che riconobbe essere la voce della madre gli annunciò che Chiara era appena ripartita per la Malesia e che non sarebbe rientrata prima di sei mesi. Gli raccontò che era diventata un medico e da un paio d’anni era volontaria in un villaggio a qualche chilometro dalla capitale.
Capita una volta nella vita, o forse poco più, che in una frazione di secondo qualcosa di incontrollabile, di più grande della stessa volontà, prenda il sopravvento. È quello che successe a Pier in quella circostanza, quando una forza oscura e misteriosa gli fece mollare tutto su due piedi e lo condusse ad acquistare un biglietto aereo con destinazione Kuala Lumpur. Quattro giorni dopo era già nella capitale malese in attesa del bus che l’avrebbe portato direttamente nel villaggio dove avrebbe incontrato Chiara. Lì le avrebbe detto tutto quello che era rimasto taciuto in quei vent’anni. Il proposito, studiato in pochi giorni e poche notti insonni nei minimi dettagli, era esattamente questo e il tempo che lo separava dalla sua realizzazione era un pomeriggio, entro il quale sarebbe arrivato a destinazione.
Ma c’è un ma che decise di insinuarsi tra Pier e il suo ennesimo programma fatto di orari, tappe, parole da dire. Mentre il bus partiva, una scarica di adrenalina lungo tutte le ossa gli arrivò come un presagio. Ebbe quella pungente sensazione che le cose gli stessero sfuggendo di mano, che la sua robusta corazza lo stesse tradendo facendogli deviare il corso della vita come solo l’imprevedibile sa fare. Mentre sobbalzava sul sedile per via delle strade asfaltate male, guardò fuori e notò che il paesaggio era così diverso da quello a cui era abituato. Poi intravide se stesso riflesso sul vetro del finestrino e come in uno di quei giochi che faceva da bambino, iniziò un ping-pong di sguardi. Un po’ si soffermava sul paesaggio, un po’ sul suo riflesso… ping-pong-ping-pong… Non solo il paesaggio ma anche il suo aspetto non era più lo stesso. C’era qualcosa di diverso da quando si era scrutato quella mattina allo specchio. Si sentiva come rapito da quel movimento oculare tanto da non riuscire più a distinguere cosa provenisse da fuori e cosa da dentro. Erano le sue emozioni che sobbalzavano a ogni buca e venivano allo scoperto? Un misto di sorpresa, paura, trepidazione, rancore, si mescolavano insieme e lui veniva a poco a poco inghiottito dentro questo mix incandescente che trasudava i dubbi più atroci. L’avrebbe trovata? Come avrebbe reagito nel vederlo lì, dopo così tanto tempo, senza un benché minimo preavviso? L’avrebbe riconosciuto? E soprattutto, si ricordava ancora di lui o l’aveva dimenticato? Si era fatta una nuova vita? Aveva incontrato l’amore? Cosa aveva cercato andando in quel posto dimenticato da Dio?
Mentre era così immerso, l’autista del bus avvisò i passeggeri che si sarebbero fermati per una breve sosta presso un villaggio sulla strada. Era l’ultima tappa prima di arrivare a destinazione ed era a due passi dal luogo dove erano diretti un gruppo di tre passeggeri inglesi, come aveva capito da una conversazione udita durante il tragitto. Qui infatti vi era un’oasi misconosciuta ma dalla bellezza naturalistica disarmante. L’avevano raggiunta per trascorrerci diversi mesi. Pier si mise lo zaino in spalla e decise di scendere e approfittare di quei minuti per guardarsi intorno. Scambiò due parole con i tre viaggiatori poi si inoltrò fino alla fine della strada asfaltata dove si apriva la vista di una valle scoscesa circondata dalle rocce e immersa nella vegetazione finché non si trovò completamente solo. Il bus era sparito all’orizzonte e a poco a poco erano sparite anche le sagome dei tre amici che si erano avviati per il sentiero che portava all’oasi. Fu come un richiamo, si voltò in alto alla sua sinistra e si accorse di un’immensa cascata che si gettava nella parte più bassa della vallata. Si sorprese di non essersi accorto prima del fragore di quel getto potente. L’acqua era impetuosa ma mostrava la sua essenza cristallina. Pier si incantò a fissarla in un punto e notò che sembrava come ferma, immobile, pur cadendo per effetto del peso e della forza di gravità. Si sentì catturare da tanta traslucenza. Poi, improvvisamente, sentì sgorgare qualcosa da dentro. Fu una frazione di secondo e si sentì bagnare le guance. Non erano gli schizzi dell’acqua, ma le sue lacrime che scendevano copiose a rigargli il volto. Strinse forte le mani che impugnavano le bretelle dello zaino, guardò indietro nella direzione del bus e poi avanti il sentiero che portava all’oasi. I pensieri non avevano più una forma, ma sentiva che qualcosa gli mostrava la direzione.
Si chiese allora che cosa avesse visto realmente qualche giorno prima al di là del vetro scuro del vagone metro, poco fa oltre il finestrino nel suo stesso sguardo e ora attraverso l’acqua cristallina. E quale forza misteriosa l’avesse sospinto fino a quell’angolo sperduto di mondo. Non seppe comporre il puzzle, ma sentì che ciò che lo stava interpellando non c’entrava nulla con Chiara. Forse più chiara gli appariva adesso la sua vita dopo questa esperienza. Forse d’ora innanzi avrebbe cominciato a vedere meglio. Guardò l’orologio, socchiuse gli occhi e ascoltò il motore del bus che riprendeva la corsa senza di lui. L’uomo assaporò quel suono che gli arrivava come musica, il tempo di pochi secondi lunghi un’eternità. Riempì i polmoni d’aria fresca e tirò un sospiro di sollievo come non aveva mai fatto prima.